Ho intenzione di scrivere nel blog sulla mia teoria "In-Rinascimento & de-Rinascimento".
Per una introduzione potete leggere le riflessioni in dialogo con Enrico Terrone (ma ringrazio anche Saint Loup e Luciano G. Gerini per aver interagito con me nella discussione) in un thread online: il In-Rinascimento inteso come condizione dell'arte in cui una variabile fondamentale è il definitivo riconoscimento sociale del ruolo dell'artista quale "artifex-firma". In tale prospettiva la diffusione globale dell'arte contemporanea nel suo modello occidentale andrebbe riletta come l'espandersi, a secoli di distanza, del Rinascimento su scala planetaria. Lo stesso ready-made nelle sue infinite variazioni potrebbe essere considerato il portato delle funzioni "artifex-firma" attivate nel Rinascimento. Il Rinascimento si è sviluppato su più linee e filoni, radicalizzandosi. Segnatamente, assistiamo a cicliche spinte di de-Rinascimento, e proprio in quei microclimi culturali locali dove il sistema dell'arte opera per separare il ruolo sociale dell'artista dal territorio.
http://www.artribune.com/2013/04/dialoghi-di-estetica-parola-a-david-davies/
>>> Quando leggi cose del tipo “laddove per apprezzare un dipinto del
Rinascimento possono essere sufficienti conoscenze generiche sulle
pratiche artistiche e sulla cultura religiosa dell’epoca” ti
domandi se il Canada è un posto dove i saggi di storia dell’arte
sul Rinascimento sono vietati per legge (Baxandall included)…
>>>
enrico io resto nella konvinzione ke se in Canada ti bekkano ke stai
leggendo 1 saggio di arte del Rinascimento ti tolgono 5 punti dalla
patente.
DD: “L’arte del Rinascimento è tale per il modo
peculiare in cui realizza le funzioni religiose che la governano”.
La
“funzione” a cui fa riferimento Davies qui rimane valida
solamente per quella tipologia di produzione da lui definita
“religiosa”, altrimenti dovremmo cambiare i titoli dei capolavori
di quel capitolo dell’arte per il quale si parla non a caso di
compresenza umanista – artista – committente.
>>>Ma
kuesto # dei dialoghidiestetika merita ben altro approfondimento…
Se
trovo un po’ di tempo…
>>
2 note
>> fermo restando la semplificazione Rinascimento (e David Davies compie un doppio inciampo quando sovrappone, all’interno
della produzione artistica qui etichettata “religiosa”, le
ragioni di culto, illustrazione storia sacra, alla riflessione
teologica, e a quei contesti in cui si intromette, tra committente e
artista, l’influenza dell’umanista) il punto che più mi
sollecita un intervento è quello in cui la “specificità artistica
non va cercata nella funzione svolta, ma nel modo in cui questa
funzione è realizzata”.
La connessione “modo-funzione” va
correlata alle fasi iniziali del processo creativo. Ma il fattore
“modo” (che nella tecnica pittorica corrisponde al ductus,
all’attività gestuale, al medium utilizzato ecc…) precede la
“funzione” nella dinamica del processo creativo? Quindi
l’evidenza dei dati formali, ancor prima di ogni possibile
verbalizzazione dell’opera (titolo, dichiarazioni di poetica,
manifesti) e sull’opera intesa come macchina interpretativa e testo
visivo nel suo statuto rappresentazionale, convocano nel fruitore 1
sintonizzazione a schemi percettivi relativi ai recessi e le ragioni
più intime della creazione?
Nella mia ricerca creativa ho tentato
di affrontare tali questioni estendendo quanto più possibile le
“funzioni”, inoltre ponendo il dipinto al centro di una rete di
coordinate informative…
>>l’enigma
Mona Hatoum. La lettura formale di opere talvolta fredde, celebrali,
calcolate, contrasta con la contestualizzazione che ci viene
suggerita, o meglio “spiegata”, in questo caso una dichiarata
poetica di sofferenza ed esclusione. La contestualizzazione ne aiuta
la comprensione, o piuttosto ne condiziona la lettura in direzione
prettamente affabulatoria, letteraria?
Talvolta, guardando il suo
lavoro, resto affascinato, talaltra mi lascia perplesso. Di certo il
“mappamondo di biglie” firmato Hatoum è l’ennesima versione di
un’idea riproposta con un retrogusto ironico evidente.
In alcune
opere osserviamo una trama formale assai esile alla quale viene
agganciata intenzionalmente, e sottolineo intenzionalmente, una
squilibrata egemonia del linguaggio verbale su quello visivo.
>>in
positivo mi ha colpito il rilievo attribuito da DD alla sequenza
funzione/modo+(after)contestualizzazione sulla quale (ripeto) faccio
ricerca pittorica da parecchio tempo. Ma le soluzioni solitamente
avallate dai critici in risposta a tale cruciale nodo le vediamo ben
sintetizzate nelle mostre di artisti che lavorano (entro limitate
“funzioni”) in sottrazione sull’opera per enfatizzarne la
contestualizzazione… Ho tentato 1 direzione opposta
>>
senza dubbio insistere su quel passaggio avrebbe impedito a Davies d'esporre la sua teoria che tuttavia ambisce a essere teoria generale
sull’arte, quindi a rischio pensiero unico. Il Rinascimento pocket
formato tascabile santino al quale riservare una contestualizzazione
meno focalizzata opera per opera (Federico Zeri quindi
dimentichiamocelo) presenta una sua rilevanza anche in ambito
divulgativo, in quanto proprio quel capitolo dell’arte ha precisato
definitivamente nuove fondamentali “funzioni” ancor oggi attive.
#2
M.M. su Rinascimento canadese poket by D.D.
>>>
cmq Enrico vorrei aggiungere 1 osservazione ulteriore sulla tue
ipotesi-D-D. Piuttosto che “eccesso” di contestualizzazione, lo
definirei metodo palesemente lacunoso. La contestualizzazione
dell’opera va ben distinta dalla cattiva letteratura sull’opera.
Se essa si sovrappone completamente alle evidenze delle proprietà
percepibili formali, rischia di non riuscire a mettere a fuoco
l’obiettivo. Nei suoi scritti Federico Zeri (Pierre Rosenberg
accenna al “metodo Zeri” in una sua intervista) non a caso prende
in esame la produzione di centri considerati minori, Umbria, Orvieto
ecc… i quali impongono allo storico dell’arte e al conoscitore
attenzione + contestualizzazione ulteriori sull’opera. Il luogo e
la rete di rapporti in cui l’artista pone in atto la creazione ne
costituiscono parte integrante, vanno visti come una sorta di
scacchiera relazionale da associare a essa.
L’opposto (passando
al contemporaneo) dell’anti-metodo di Francesca Pasini quando
incautamente afferma “Non penso che ci sia un’arte ligure e
neppure un’arte in Liguria: l’arte è internazionale, i
regionalismi sono ormai insensati. Chi ha successo è chi ha un
riconoscimento internazionale, soprattutto negli Stati Uniti, in
Inghilterra, in Germania, in Svizzera, alle Biennali, alle
Documenta”.
>>>L’occhio
dell’estetica al minimo sindacale gioca strani scherzi.
Il
Rinascimento e l’artista-intellettuale (teorizzato dall’Alberti
ecc…), l’artista divo-pop (che si rapporta alla pari con papi e
monarchi), l’opera concettualizzata dall’umanista (congiuntamente
all’artista-umanista), hanno contribuito a fondare le premesse
cognitive che ci consentono di considerare opere contemporanee
apparentemente immateriali come fenomeni artistici oggetto di
attenzione.
Non si tratta di una corrente pittorica minore
dell’ottocento. Stai pensando a quel dipinto del Rinascimento come
se fosse di oggi.
Quindi – paradosso: quando osservi quell’opera
contemporanea apparentemente inesistente e ci ragioni sopra non solo
è l’opera a confermarsi in certo modo “rinascimentale”, lo sei
un po’ anche tu.
>>>Alcune opere consentono più livelli
di lettura coerenti e conseguenti tra loro, altre meno.
Evitiamo di
cadere vittime delle etichette e saperi didascalici alla Angela
Vettese. Laddove le opere sviluppano occasioni di verbalizzazione
sull’opera stessa, lavorano in sottrazione, sono esposte in scatole
bianche “musei d’arte contemporanea” a farne da cornice per
certificarne le qualità intellettuali è giusto che di tali
dispositivi se ne facciano carico – rovesciare queste strategie
legittime (nel sistema dell’arte) ma soggettive accreditandone
retrospettivamente una validità di esempi paradigmatici per l’intera
storia dell’arte resta indice di metodo lacunoso.