Thursday, June 11, 2009

Fondazione March o confusione March?

Fondazione March o confusione March?
Ecco cosa si legge, sotto la voce "Exhibitions", nel sito della Fondazione March di Padova:

"The Foundation intends to work mainly with international, mid-career artists, already established in the art-world yet still little known in Italy, as well as researching and presenting interesting names from our own Country".


Un'affermazione che contrasta con quello che troviamo scritto alla voce "Foundation":

"The March Foundation was created in Padova on the 29th of March, 2007 with the idea of being not only a place, but a plan for contemporary art, engaged in the promotion of independent artistic searches and in the creation of a system that favors the development of free creativity from conditionings and the laws of the market".
 

La versione italiana:

"La fondazione march nasce a Padova il 29 Marzo 2007 con l’idea di essere non solo un luogo, ma un progetto d’arte e per l’arte contemporanea, impegnato nella promozione della ricerca artistica indipendente e nella creazione di un sistema che favorisca lo sviluppo di una creatività libera da condizionamenti e dalle leggi del mercato"
 

.... "Fondazione":

"La fondazione intende lavorare principalmente con artisti internazionali mid-career, accreditati dal sistema dell'arte, ma ancora poco noti in Italia, pur senza trascurare le ricerche del nostro paese. Verranno inoltre affiancate collaborazioni con giovani artisti e workshop.
La fondazione propone la propria linea di ricerca avvalendosi di una rosa di curatori a livello internazionale e lavorando in rete con spazi affini nel resto del mondo".


Le consuete fate morgane del sistema dell'arte all'italiana.
Spiegate alla Fondazione March che "ricerca artistica indipendente" significa valorizzare l'arte e la ricerca senza schemi preconcetti, senza escludere pregiudizialmente forme creative quali l'underground. La scelta programmatica di dedicare una maggiore attenzione agli artisti mid-career accreditati nel sistema significa operare una falsificazione di base di enorme rilevanza teorica che può essere accettata solamente da chi non conosce la storia dell'arte. La March è in quella fase riscontrabile, con le debite differenze, nella crescita di tanti giovani creativi che, nei primi passi della loro maturazione artistica, non hanno ancora compreso che non possono essere tutto e il contrario di tutto e fare arte significa operare una scelta di campo. Leggete gli articoli su di essa disponibili in rete: la reverenza di cui una realtà ancora così informe si trova immediatamente circondata non è certo da stimolo all'autocritica. Alla March ci sono i soldi, c'è - forse - una vaga idea di cultura e di contemporaneità, mancano indirizzi programmatici consapevoli, l'idea di una mission come obiettivo. L'impasse viene di solito risolta dai centri d'arte contemporanea italiani gettandosi nelle braccia accoglienti di qualche critico esponente di spicco di una lobby che fornisce (chiavi in mano) tutto il software teorico necessario, pena, naturalmente, la perdita totale d'indipendenza.

Quale può essere, allora, per un'istituzione che nasce senza una precisa mission di cultura - e nemmeno da un impulso creativo - la soluzione per ovviare ai tranelli, ai giochi di cui rimane inevitabilmente vittima chi si affaccia nel sistema dell'arte senza ancora una piena consapevolezza del proprio ruolo?
Ribaltare gli stereotipi correnti, i modelli imitativi sostituendo alla incerte certezze di oggi delle certe incertezze, facendo cioè della propria debolezza (anche teorica) un punto di partenza. Un semplice atto di pragmatismo, quindi. Una debolezza pienamente consapevole che nel riconoscimento del proprio stato di necessità trova il paradigma fondamentale premessa per costruire e sviluppare nuove possibilità con un maggiore dinamismo (1). Non centro di cultura ma circonferenza, luogo capace di contenere, perimetro neutro che accoglie e mette in relazione molteplici centri di diversa natura, superando in questo modo la prassi di oggi secondo cui autorevolezza significa dispensare, produrre certezze che poi, alla prova dei fatti, sono imitazioni di strategie mutuate da già affermati modelli di riferimento.
Si potrebbe perfino (contrariamente a ciò che è accaduto ad Italian Area a Milano, dove alcuni critici dai gusti affini selezionano una lista di artisti secondo i parametri di un pensiero unico che ammette poche eccezioni, creando insiemi di simili) postulare una logica a sistema binario, insieme di dissimili, che afferma e nega la medesima tesi, esce ed entra dal sistema, tradisce, procede per paradossi, e soprattutto riesce ad includere l'altro da sé: esposizioni curate da critici che argomentano tesi opposte a confronto, contaminazioni dove la parola della critica d'arte e le arti visive vengono affiancate al linguaggio letterario, alla poesia, a forme espressive contemporanee che non hanno come bersaglio il sistema gallerie-musei. Oltre ai (pur utili) consueti concorsi dove l'artista implicitamente delega potere - e centralità - alla commissione che autorevolmente deve certificarne lo status di contemporaneità, pensare nuovi dispositivi che con-corrono a fare arte, valorizzando gli artisti che lavorano in autonomia senza cercare sempre e comunque l'investitura ufficiale delle gerarchie istituzionalizzate. Un sistema dalla mappa sfrangiata, con porte aperte oltre le note, scontate cartoline di palazzoni e gallerie celle frigorifere.
(1) uno dei concetti cardine della mostra "Puer Aeternus" allo Spazio Ponte delle Latte.