>>>Anna
Detheridge: “L’arte concettuale rappresenta una grande e
dolorosissima rottura (soprattutto per l’Italia, dove la tradizione
della grande pittura è sempre viva, come possiamo vedere
costantemente intorno a noi). Le discipline della pittura, della
scultura, della decorazione ne escono sconvolte; un artista può
impunemente utilizzare una qualsiasi tecnica demandando l’esecuzione
ad altri, spesso, in seguito, neppure nominati (e questa è una
scorrettezza).”
Anna
qui ritroviamo il consueto pregiudizio-errore critico (di cui già
accennavo nel #DDE Giovanni Matteucci) sulle tecniche artistiche che
“divengono” altre pratiche. La pittura e la scultura, che tu
equipari alla decorazione (del tutto improprio definire "disciplina" la
decorazione in tale contesto) sono tecniche e non generi artistici. Non ne escono quindi in alcun modo "sconvolte". Il
percorso che dalla tecnica conduce al genere è lunghissimo. Confondi e
sovrapponi tecniche, pratiche, generi artistici così come, evidentemente, equivochi il significato dello stile pittorico. Quindi la scultura non è "diventata" arte concettuale o pratica installativa. Inoltre sono sempre esistite opere di bottega in cui l'artista demandava l'esecuzione a collaboratori, allievi e non allievi.
>>> la tradizione della “grande pittura” ancora “costantemente viva” in Italia? La programmazione più recente delle maggiori istituzioni d’arte contemporanea italike-italiote-italiansky (vedi Rivoli) ci restituisce una realtà ben diversa. Nel nostro Paese gli artisti della sperimentazione pittorica sono, grazie ai pregiudizi di Detheridge (& company) del tutto sottovalutati se non censurati. Peraltro, se per "tradizione della grande pittura sempre viva" vogliamo intendere la storia dell’arte, essa resta un capitolo centrale della cultura occidentale, premessa fondamentale per capire il presente mentre Lady D, con il metodo antistorico che la contraddistingue, chiude i fenomeni artistici in etichette didascalicamente separate, contrapponendo pretestusamente pratiche artistiche differenti.
Anna, ti segnalo che il tuo metodo antistorico puzza d'incompetenza. Davvero conosci la storia dell'arte?
Anna, ti segnalo che il tuo metodo antistorico puzza d'incompetenza. Davvero conosci la storia dell'arte?
>>>a questo punto sono in disaccordo anche sul santino sofferente di una sperimentazione artistica “dolorosissima” in chiave di rinuncia e sottrazione. La sperimentazione può essere gesto liberatorio catartico (rivoluzionario almeno nelle intenzioni) e se per affermare dei propri valori deve sempre rimarcare le distanze dai movimenti che l’hanno preceduta palesa in ciò chiari sintomi di nostalgie irrisolte. Immaginatevi che noia se i critici cinematografici sottolineassero in ogni recensione le differenze tra teatro e cinema e il "dolorosissimo" scarto tecnico di recitazione esistente tra il palcoscenico e il set!
L'attore cinematografico adotta una tecnica recitativa diversa da quella teatrale ma essa può rappresentare una possibilità ulteriore anziché una rinuncia dolorosa. Un bravo attore dotato di eclettico talento può utilizzarle entrambe.
Per rispondere dobbiamo capire l’anti-metodo di Detheridge che applica alla critica i dispositivi narrativi del racconto: una tecnica “diviene” un’altra tecnica come il personaggio evolve nell’intreccio-sviluppo affabulatorio della storia nella quale il colpo di scena è d’obbligo. La povera mendicante “diviene” principessa nelle belle favole.
Rimanendo in ambito critico invece, D. sovrappone erroneamente i processi di contaminazione e sviluppo tra movimenti artistici, gli “ismi” novecenteschi, gli stili e i generi, alla questione delle singole tecniche.
Ma tale sovrapposizione non rientra in alcun metodo critico, produce come risultato solo narrazione, della cattiva letteratura. Anna, in pratica, ci sta raccontando i suoi processi mentali. A un certo punto del suo percorso ha acquisito nuovi linguaggi ma essendo intellettuale del pensiero unico essa percepisce approcci diversi ai fenomeni artistici come in contraddizione tra loro.
C’è tuttavia un dato che non deve essere sottovalutato. Sul cinico disprezzo derisorio che tanti riservano (chi li conosce lo sa) ai “pittorucoli” (i quali come si vede bene qui, vengono utilizzati come sacchetto della spazzatura di nodi teorici irrisolti), va detto che essi si fanno interpreti, grazie a un alibi intellettuale confezionato su misura, di un sentimento perbenista-borghese latente molto diffuso: il disprezzo dell’artista in quanto diverso, figura anticonformista, fabbricatore di miraggi, quasi appendice adulta di una pulsione infantile non elaborata. Anna e i suoi ci restituiscono il più retrivo perbenismo borghese semplicemente spostandolo di posizione.
Federico Zeri sottolineava che è proprio delle subculture l’azzeramento di una corretta prospettiva storica, infatti la pretestuosa iper-specializzazione fa da premessa a un analfabetismo di ritorno: “Alzi la mano chi non si è annoiato nei musei di arte antica” proclama Angela Vettese, in un suo saggio-groviera.
>>>la produzione visiva dei generi artistici conseguenti alle tecniche pittoriche rappresenta, rispetto al linguaggio verbale (della critica) un’alterità radicale. Ciò chiarisce perché tale alterità radicale resti al centro dei problemi. Detheridge e gli altri, attraverso tanti alibi e tante pretestuose manipolazioni, vogliono emarginarla dal dibattito teorico, sostituendo a essa il linguaggio verbale e le pratiche artistiche affini quale paradigmi centrali dei fenomeni. In altri termini, vecchi metodi (e nuove maschere) del pensiero unico (maschile).
Vi sono critici d'arte che impiegano l'intera vita a studiare l'opera di un solo artista-pittore, percorso a loro assolutamente necessario. L'impossibile traguardo? Né "spiegarlo" né "capirlo". La vera sfida è riuscire a "vederlo". "Vedere" davvero l'alterità riuscendo finalmente ad attraversare le gabbie, gli automatismi del linguaggio verbale, del pensiero unico, delle stereotipie: un vero salto dell'abisso. Per la presunzione dell'intellettuale del pensiero unico non c'è cosa più difficile del confronto con l'alterità.
Se invece Detheridge non possiede, come molti suoi colleghi, i requisiti di conoscenza e quell'intelligenza del gusto per addentrarsi e segnare un percorso proprio ad ampio raggio nella sterminata produzione dell'arte visiva può pure dircelo e riaffermare la sua specializzazione limitata a poche tendenze. Una specializzazione comune ad altri mille come lei perché più facile, più accomodante, anzi è proprio ciò che ora le istituzioni "di stato" richiedono. Non rischierà certo di apparire un'originale o peggio anticonformista, posizione temutissima da tanti.