Thursday, April 10, 2014

Limiti & errori de "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" di Walter Benjamin

Attenzione: post in progress, testo in via di stesura.

>>>I lettori che seguono il blog possono facilmente intuire quali siano le mie obiezioni alle tesi di Benjamin esposte nel suo celebre saggio. Egli inciampa in errori assai comuni in quei teorici privi di una conoscenza diretta delle tecniche artistiche.

>>>Mi limito a poche osservazioni. L'opera è sempre stata riproducibile e riprodotta tecnicamente anche su larghissima scala. Le prove più persuasive di tale evidenza le troviamo già nell'arte antica, dalla ritrattistica statuaria fino alle repliche romane di modelli ellenistici. Non va dimenticato che pittura e scultura vanno di per sé intese quali tecniche, non generi artistici; il percorso che dalla tecnica conduce al genere (e oltre) è un tracciato lungo, articolato. Quindi la "copia" di una scultura ne rappresenta la "riproduzione tecnica" più che una "copia artistica". 
La copia artistica differisce dal modello originale, ne crea un d'apres interpretativo.

D'altro canto, la riproducibilità tecnica precede quella meccanica e tecnologica; il dato manuale - o di relazione tra corpo e strumenti/medium - che corrisponde all'intenzionalità di chi sceglie un soggetto da dipingere, fotografare o riprodurre permane (frazionata in impercettibili, minimi passaggi) financo nelle tecnologie contemporanee più sofisticate, nel clic di un computer o di una macchina fotografica.

Analoghe considerazioni si prospettano allorché prendiamo in esame il concetto di aura. 
Errato addebitarla alla fruizione devozionale/cultuale che essa avrebbe avuto in origine - l'opera d'arte sacra rimane tra le più riprodotte su larga scala. L'opera sacra infatti, tranne quei casi riconducibili a eventi ritenuti miracolosi o alla devozione popolare, presenta aura (come nelle icone) in quanto fedele e metodica "riproduzione" di una matrice, oppure essendo fruita e utilizzata quale inerte supporto materiale di una dimensione trascendente. 

Viene così a delinearsi una conclusione opposta a quella di Benjamin: l'aura laica stigma di originalità ideativa trova, attraverso numerosi passaggi, una sua definitiva precisazione nel Rinascimento parallelamente all'emergere del ruolo sociale dell'artista divo pop, artifex "firma", mente ideativa, depositario della paternità creativa del proprio "stile", quello leonardesco, michelangiolesco, giorgionesco, ecc.... 
Il riconoscimento sociale dell'invenzione in quanto evento laico/numinoso della scoperta accompagna la consapevolezza che la corretta lettura formale di tale "evento ideativo" non verbale può avvenire in presenza del suo supporto materiale originario, fattore non eludibile come elemento integrante di un processo percettivo prima, interpretativo e conoscitivo poi, correlato appunto a una fruizione di linguaggi non verbali. 
L'aura deriva dalla corretta lettura dell'opera nelle sue evidenze formali all'interno del sistema binario dettaglio + insieme. Quando il sistema binario interno viene interrotto (come in talune pratiche installative) il linguaggio verbale torna a essere egemonico rispetto a quello visivo supplendo la funzione "dettaglio" o quella "insieme"...


"L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità meccanica/tecnologica" ("The Work of Art in the Age of Mechanical Reproduction (or Reproducibility)" suggeriscono le traduzioni) potrebbe essere una correzione utile al titolo che tuttavia anche in questa formula presenta delle (...)